Si sente tanto parlare del grasso “bruno” e dei suoi benefici sulla salute, ma del perché faccia così bene e quali siano i meccanismi attraverso cui esso ci proteggerebbe dalle “malattie del benessere” come obesità e diabete, resta in parte un mistero. Un nuovo importante tassello per la comprensione del ruolo di questo particolare tessuto adiposo oggi si aggiunge grazie alla ricerca condotta dalla Rutgers University (Usa) che appare sulla rivista scientifica Nature. Ma prima di svelare i particolari della nuova ricerca vediamo cos’è il grasso bruno.
Il grasso bruno cos’è?
Il grasso “bruno” è un tipo di grasso presente nel nostro corpo considerato “buono” poiché metabolicamente attivo, a differenza del comune grasso bianco o giallo, tessuto di deposito senz’altro utile, anche se spesso in eccesso, ma non in grado di produrre energia. Il grasso bruno, presente in buone quantità nei bambini, va via via riducendosi con l’età e si trova localizzato nell’adulto in alcune piccole aree come clavicola, collo, reni e midollo spinale. Esso è attivato dalle basse temperature, da alcuni cibi ad effetto termogenico come il caffè o il peperoncino e da alcuni farmaci.
Questo grasso buono promuove la trasformazione delle sostanze nutritive, introdotte con la dieta, in energia per generare calore. Il meccanismo attraverso cui ciò avviene prevede l’attivazione della cosiddetta proteina di disaccoppiamento 1 (UCP1), all’interno dei mitocondri, le nostre centrali energetiche che nelle cellule di grasso bruno sono molto più numerosi rispetto a quelle di grasso bianco.
Le cellule adipose di grasso bruno sono inoltre multiloculari, ovvero contengono tante piccole gocce che aumentano la superficie di combustibile esposta al citosol e sono molto più vascolarizzate rispetto a quelle di grasso bianco. Questo è quanto era finora noto sul grasso bruno, ma ciò che hanno scoperto gli scienziati della Rutgers University apre le porte per nuove prospettive di cura per malattie quali diabete ed obesità.
Il grasso bruno filtra ed elimina gli amminoacidi ramificati BCAA
Secondo quanto emerso dal nuovo studio americano il grasso bruno svolgerebbe anche un ruolo del tutto inedito nel nostro organismo, quello di filtrare ed eliminare l’eccesso di amminoacidi ramificati, i BCAA (leucina, isoleucina e valina). Questi amminoacidi, presenti in carne, pesce, uova, pollame, latte e latticini e assunti sotto forma di integratori da chi pratica il body building con lo scopo incrementare la massa muscolare, in quantità normali non sono nocivi per la salute.
Tuttavia in quantità eccessiva, sono collegati al rischio di diabete e all’obesità. I ricercatori hanno scoperto che coloro che possiedono poco o nessuna quantità di grasso bruno hanno una ridotta capacità di eliminare i BCAA dal loro sangue e sono dunque più esposti al rischio di sviluppare obesità e diabete.
Come entrano i BCAA nei mitocondri delle cellule di grasso bruno?
L’azione di smaltimento dei BCAA in eccesso da parte del grasso bruno è dunque un meccanismo-chiave in grado di proteggerci da pericolose malattie metaboliche. Ma i ricercatori hanno fatto un’ulteriore scoperta: l’ingresso dei BCAA nei mitocondri del grasso bruno è mediato da una nuova proteina chiamata SLC25A44. Essa controlla la velocità con cui il grasso bruno elimina gli aminoacidi dal sangue e li usa per produrre energia e calore.
Gli integratori di amminoacidi ramificati possono far bene, ma non a tutti
Uno degli autori dello studio, il prof. Labros S. Sidossis afferma: “Il nostro studio spiega il paradosso secondo cui gli integratori di BCAA potrebbero potenzialmente giovare a coloro che hanno il grasso bruno attivo, come le persone sane, ma può essere dannoso per gli altri, compresi gli anziani, le persone obese e quelle con diabete“.
Prossimo obiettivo dei ricercatori sarà quello di determinare se l’assorbimento di BCAA da parte del grasso bruno possa essere controllato da fattori ambientali, come l’esposizione a temperature leggermente fredde (18° C) o il consumo di cibi piccanti o farmaci. Ciò col fine di studiare un nuovo modo per migliorare i livelli di zucchero nel sangue, fattore collegato all’insorgenza di diabete e obesità, conclude Sidossis.
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