La Camelina sativa L. (Crantz) è una pianta erbacea appartenente alla famiglia delle Brassicaceae (come canola e rapa). E’ conosciuta fin dall’antichità (ritrovate tracce del suo impiego risalenti al Neolitico, ovvero di oltre 3000 anni fa) con il nome comune di “falso lino“, data la somiglianza dei suoi semi con quelli del lino propriamente detto. E’ coltivata in Europa e Nord America, ma è diffusa a livello globale, adattandosi perfettamente ai climi freddi e semiaridi. I suoi semi vengono utilizzati come mangime per uccelli, mescolati con il foraggio per il bestiame ed il pollame, allo scopo di arricchire le carni di questi animali di grassi “buoni”, gli Omega-3. Inoltre da essi si ricava un olio commestibile (commestibili anche i semi, utilizzabili analogamente a quelli dei semi di lino). Un tempo l’olio di camelina era impiegato come olio combustibile per lampade ad olio. Ma l’interesse degli scienziati nei confronti di questa umile erba è cresciuto negli ultimi anni. Numerosi progetti includono ad esempio l’olio di camelina tra le possibili fonti alternative di biocombustibile “green”, in grado di ridurre fortemente le emissioni di carbonio. Ma le proprietà dell’olio di camelina non finiscono qui.
Valori nutrizionali dei semi e dell’olio di camelina
Ancora più interessante infatti è il quadro nutrizionale presentato dai semi e l’olio di camelina. I semi di camelina sono eccezionalmente ricchi di acidi grassi Omega-3 (fino al 45%) e proteine (32%). L’olio ottenuto per spremitura a freddo dei semi è ricco di acidi grassi polinsaturi (50%, rappresentati in particolare dall’acido alfa-linolenico, ALA) e tocoferoli (ovvero la vitamina E, antiossidante naturale che rende stabile l’olio di camelina e ne evita il rapido irrancidimento, oltre che utile al nostro organismo per combattere invecchiamento e radicali liberi). Contiene anche acido erucico (1-3%), composto tossico, ma in percentuali compatibili per il consumo umano. Presenta un sapore ed un aroma che ricordano quelli delle mandorle.
Il nuovo studio finlandese
E’ di questi giorni la diffusione dei dati di un nuovo studio finlandese che conferma le eccezionali proprietà dell’olio di camelina. L’olio di camelina infatti sarebbe in grado di ridurre i livelli nel sangue del cosi detto colesterolo “cattivo” (LDL) e del colesterolo totale. Lo studio è stato condotto dalla University of Eastern Finland ed è stato pubblicato sul Molecular Nutrition & Food Research. Gli scienziati hanno analizzato le associazioni tra il consumo di olio di camelina, pesce grasso o pesce magro con il metabolismo dei lipidi e del glucosio e l’infiammazione di basso grado. Studi precedenti avevano già dimostrato, numerose volte, gli effetti benefici sui diversi fattori di rischio. associati alle malattie cardiovascolari, delle proteine e gli acidi grassi Omega-3 a catena lunga (in particolare EPA e DHA) presenti nei pesci. Tuttavia gli studi relativi agli effetti dell’acido alfa-linolenico, precursore di origine vegetale degli stessi EPA e DHA, risultavano insufficienti.
L’olio di camelina riduce il colesterolo
La nuova ricerca ha coinvolto 79 uomini e donne finlandesi con alterato metabolismo dei livelli nel sangue di glucosio a digiuno, di età compresa tra i 40 e i 72 anni. I partecipanti allo studio sono stati suddivisi casualmente in quattro gruppi:
- olio di camelina;
- pesce grasso;
- pesce magro;
- controllo.
A seconda del gruppo, i partecipanti allo studio sono stati istruiti a mangiare pesce grasso o magro quattro volte a settimana o a prendere una dose giornaliera di 30 ml di olio di camelina. Questo per un periodo di 12 settimane. Le persone del gruppo di controllo erano autorizzate a mangiare pesce una volta alla settimana, mentre l’uso di olio di camelina o altri oli contenenti acido alfa-linolenico è stato loro proibito. Rispetto al gruppo di controllo i livelli di EPA e DHA sono aumentati nei lipidi plasmatici del gruppo “pesce grasso”. I livelli di ALA sono aumentati nel gruppo “olio di camelina”. Sorprendentemente nel gruppo “olio di camelina” le concentrazioni di colesterolo totale e colesterolo LDL sono state ridotte in misura maggiore rispetto ai gruppi “pesce grasso” e “pesce magro”. Migliori risultati anche per quanto riguarda il miglioramento nei rapporti LDL-C/HDL-C (concentrazioni del colesterolo cattivo rispetto al buono) e delle ApoB/ApoA-I (le apolipoproteine B e A-I sono la frazione proteica delle lipoproteine che trasportano rispettivamente LDL ed HDL). Non ci sono stati invece cambiamenti significativi nel metabolismo del glucosio o nei marcatori riguardanti l’infiammazione di basso grado.
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