Una metanalisi condotta dall’Università di Oxford, conclude che nei pazienti con prediabete, l’integrazione di dosi da moderate ad elevate di Vitamina D (≥1000 U.I. al giorno) possa ridurre significativamente il rischio di diabete di tipo 2. Secondo la ricerca la vitamina D aiuterebbe a prevenire il diabete attraverso un’influenza positiva sui livelli di zucchero nel sangue, l’infiammazione e la produzione di insulina.
Il documento, che appare sul Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism ha analizzato i dati di nove studi clinici precedenti, per un totale di quasi 45.000 volontari, con un’età media di 63,5 anni.
La vitamina D previene il diabete?
L’associazione tra vitamina D e diabete di tipo 2 è stata oggetto di studio diverse volte. Uno studio del 2017, ad esempio ipotizza che la vitamina D influenzi i livelli di zucchero nel sangue, riducendo il rischio 2 diabete attraverso tre azioni:
- aumento della produzione di insulina;
- aumento della sensibilità all’insulina;
- riduzione dell’infiammazione generale.
Un altro studio focalizzato su 202 bambini e adolescenti svedesi obesi (età compresa tra i 4,5 e i 17,9 anni), ha rintracciato carenza di vitamina D e prediabete nel 33% dei casi.
La vitamina D è chimicamente un ormone steroideo. Il fatto che anche l’insulina sia un ormone ha convinto alcuni esperti che possa esistere una correlazione tra insulina e vitamina D. Molte persone con bassi livelli di vitamina D hanno inoltre riscontrato carenze immunitarie complessive.
Vitamina D: livelli normali
La vitamina D è una vitamina liposolubile, ovvero si scioglie nei grassi e può pertanto essere immagazzinata nelle cellule adipose, al pari delle altre vitamine liposolubili A, E e K. Ciò ci espone al rischio di un accumulo eccessivo di tali vitamine (ipervitaminosi), poiché esse non vengono rapidamente eliminate attraverso le urine, come avviene per le idrosolubili.
Assumere troppa vitamina D può aumentare significativamente la quantità di calcio assorbita dagli alimenti e portare a diversi problemi tra cui la formazione dei calcoli renali, l’aumento del rischio di fratture e di alcune neoplasie.
Ma a differenza della maggior parte delle vitamine, è piuttosto difficile ottenere un apporto sufficiente di vitamina D, men che meno un apporto eccessivo, con la sola dieta. La carenza di vitamina D è infatti decisamente più diffusa del suo eccesso. I sintomi da carenza di vitamina D lieve sono piuttosto sfumati ed facile dunque non accorgersene, ma gli effetti nel lungo termine possono essere importanti, favorendo ad esempio la comparsa del diabete di tipo 2.
La carenza di vitamina D è particolarmente frequente in Italia, soprattutto negli anziani e nei mesi invernali. L’86% delle donne italiane sopra i 70 anni presenta livelli ematici di calciferolo inferiori ai 10 ng/ml alla fine dell’inverno. Per quanto riguarda i livelli normali di Vitamina D l’AIFA, l’Agenzia italiana del farmaco, distingue quattro range di concentrazioni ematiche di vitamina D, relativi ad altrettanti quadri clinici:
- carenza <10ng/mL;
- insufficienza: 10-30ng/mL;
- sufficienza: 30-100ng/mL;
- tossicità: >100nmg/mL.
Chi deve assumere integratori di Vitamina D?
L’impiego di integratori di vitamina D, come per qualsiasi altro supplemento alimentare, si rende necessario solo qualora sia accertata un’effettiva carenza e solo sotto consiglio medico, il quale saprà indicare le giuste dosi. Abbiamo già visto come possa essere utile incrementare l’apporto di vitamina D, per prevenire il diabete mellito di tipo 2, nelle persone con prediabete. L’AIFA consiglia inoltre l’assunzione di integratori di Vitamina D, nei seguenti casi:
- pazienti con livelli sierici di 25(OH)D < 20 ng/mL che presentano sintomi attribuibili a ipovitaminosi (astenia, mialgie, dolori diffusi o localizzati, frequenti cadute immotivate);
- pazienti con diagnosi di iperparatiroidismo secondario a ipovitaminosi D;
- pazienti affetti da osteoporosi o osteopatie per le quali la correzione dell’ipovitaminosi dovrebbe essere propedeutica all’inizio della terapia remineralizzante;
- terapia a lungo termine con farmaci interferenti col metabolismo della vitamina D (antiepilettici, glucocorticoidi, antiretrovirali, antimicotici, ecc.);
- malattie che possono causare malassorbimento intestinale nell’adulto (fibrosi cistica, celiachia, morbo di Crohn, interventi di chirurgia bariatrica ecc.).
Il fabbisogno di vitamina D aumenta in relazione all’avanzare dell’età e durante gravidanza ed allattamento, specie in presenza di fattori di rischio di carenza di vitamina D come iperpigmentazione cutanea, obesità, e scarsa esposizione al sole.
Vitamina D: fonti alimentari
Uno dei modi più semplici e naturali per fare il pieno di Vitamina D (calciferolo o vitamina D3, detta anche vitamina del sole), è l’esposizione alla luce solare. Infatti i raggi UV, a livello epidermico, innescano la sintesi endogena della Vitamina D3 a partire dal colesterolo.
Naturalmente poi abbiamo la dieta. Gli alimenti fonte di vitamina D sono:
- pesci “grassi”: sgombro, salmone, aringa, etc.;
- tuorlo d’uovo;
- fegato;
- olio di pesce (in particolare l’olio di fegato di merluzzo);
- burro, latte, formaggi grassi;
- alimenti “fortificati” con l’aggiunta di Vitamina D (leggere l’etichetta): latte, latte vegetale, cereali integrali, etc.
- funghi: principale fonte vegetale di vitamina D (Vitamina D2 o ergocalciferolo);
- verdure a foglia verde: contengono tracce di Vitamina D2.
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